GENOVA – Mentre giù in basso c’è chi continua a cercare e a scavare, anche con le mani, nel tentativo di trovare le persone ancora disperse, c’è chi ha il compito di guardare su: esaminare quello che resta del Ponte Morandi vedere di capire le cause del tragico crollo. Non è un esercizio o un passatempo estivo. Capire le cause porta sostanzialmente a due notevoli conseguenze: da un lato cercare di evitare che questo possa ripetersi (anche negli altri ponti Morandi in giro per l’Italia che ora sono messi sotto osservazione), valutare cosa è possibile fare per la ricostruzione; dall’altro, invece, per accertare ovviamente le responsabilità.
Al momento l’ipotesi più accreditata è quella che invididua nella causa del disastro il cedimento di uno strallo, una delle bretelle collegate ai plastri del ponte. Così è portato a pensare Antonio Brencich, docente dell’università di Genova e membro della commissione dei Trasporti e delle Infrastrutture che deve accertare le cause del crollo. E così sembrerebbe confermare la testimonianza di Maria Marangolo, infermiera della Asl di Genoa, testimone dell’accaduto mentre si trovava in via Fillak: “Ho visto i tiranti spezzarsi contemporaneamente, poi sono caduti sulla carreggiata, l’hanno fatta salire in alto e dopo si è spezzata la campata”.
La Procura della Repubblica, nel frattempo, ha sequestrato i due tronconi del viadotto Morandi rimasti in piedi a levante e a ponente del tratto crollato. L’attività investigativa comincia a svilupparsi. Verranno studiate anche le macerie spostate via via in un deposito della municipalizzata dei rifiuti Amiu a Campi. Sono state fotografate, catalogate e poste sotto sequestro. Al momento il fascicolo aperto in Procura per attentato colposo alla sicurezza dei trasporti, omicidio colposo plurimo e disastro colposo resta contro ignoti.