Il suo nome, escludendo gli appassionati che di lui potrebbero raccontar anche gli aneddoti, molto probabilmente è conosciuto soltanto da chi ha almeno 40 anni. Le sue canzoni, tuttavia, sono ancora cantate a squarciagola da tutta l’Italia. Una su tutte. Basta il titolo “Io vagabondo” per capire che stiamo parlando di Augusto Daolio. Ovvero di uno dei fondatori dei Nomadi, scomparso prematuramente nel 1992 a causa della malattia all’età di 45 anni.
Nato il 18 febbraio 1947, fin da ragazzino inizia a dedicarsi alla musica. Il suo primo gruppo si chiama “I monelli” e ottiene subito un buon successo nella provincia di Reggio Emilia. Poi, nel 1963, all’età di 16 anni, dà vita ai Nomadi. Con lui Franco Midili, Antonio Campari, Gualberto Gelmini e Leonardo Manfredini. Qui il successo non è limitato alla sua realtà locale: i Nomadi ben presto si fanno conoscere in tutta Italia.
Augusto è il leader del gruppo, sul palco è il cantante e il trascinatore delle folle. Un po’ per quei testi mai banali, un po’ perché diventato presto personaggio, di fatto il successo non tarda ad arrivare. Basti pensare che “Io vagabondo”, la canzone più famosa dei Nomadi, è del 1972.
Passerà 20 anni sulla cresta dell’onda, 15 album pubblicati e tanti concerti in tutta la penisola. Il bel sogno, però, viene interrotto dalla malattia che lo colpisce nel 1992. E’ un anno tragico per il gruppo, che viene scosso dalla morte di Dante Pergreffi, bassista dei Nomadi da otto anni. Sarà un colpo di grazia anche per Augusto che, con la salute già compromessa, subirà un bel contraccolpo psicologico. Il 7 ottobre dello stesso anno sarà vinto dal tumore ai polmoni.
I Nomadi, a distanza di anni, proveranno a riorganizzarsi. Raccogliendo simpatia e affetto, ma per il pubblico la nuova voce solista non sarà mai quella di Augusto. Poco male: perché bastano poche note per siano i presenti a iniziare a intonare canzoni. Tristi e melanconiche, ma entrate nel cuore della gente. E tra un brano e l’altro, a ogni concerto non manca chi invoca il nome di Augusto. I presenti, immancabilmente, in modo spontaneo dimostrano di apprezzare con un applauso che mette sempre i brividi per l’emozione.