A gennaio continua a una marcia ancora più forte la corsa dell’inflazione. Lo confermano i dati definitivi diffusa dall’Istat, secondo i quali l’indice nazionale dei prezzi al consumo è infatti aumentato dell’1,6% su base mensile e del 4,8% su base annua dal +3,9% del mese precedente. È l’incremento tendenziale più alto dall’aprile del 1996. A trainare l’aumento sono i beni energetici che fanno segnare una crescita su base annua mai registrata (da +29,1% di dicembre a +38,6%, con la componente regolamentata che sale da +41,9% a +94,6%), “ma – sottolinea l’Istat – tensioni inflazionistiche crescenti si manifestano anche in altri comparti merceologici”. E quindi schizzano in alto i prezzi dei Beni alimentari, sia lavorati (da +2% a +2,4%) che non lavorati (da +3,6% a +5,4%) e quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +2,3% a +3,5%), mentre rallentano invece i prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +3,6% a +1,4%).
La “inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, rimane stabile a +1,5%, mentre quella al netto dei soli beni energetici accelera da +1,6% a +1,8%. L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +3,4% per l’indice generale e a +1% per la componente di fondo.
“L’inflazione che a gennaio sfiora il 5% delinea una situazione che non si risolverà a breve e con cui famiglie e imprese sono obbligate a confrontarsi”. Così l’Ufficio Studi di Confcommercio, secondo il quale “la causa principale è l’aumento degli energetici con l’associazione di tensioni anche nell’alimentare, per via delle materie prime, nella ristorazione e nei servizi di alloggio, in cui la componente energetica incide in misura rilevante sui costi d’esercizio delle imprese”. “Sebbene l’inflazione di fondo permanga su livelli gestibili, la crescita dei prezzi al consumo – conclude l’Ufficio Studi – deprime il potere d’acquisto della ricchezza detenuta in forma liquida, riducendo la crescita dei consumi e indebolendo la dinamica del Pil per l’anno in corso”.