Grande e grosso, temibile e devastante, soprattutto perché tremendamente innamorato di una donna: il mondo intero, a partire dal 2 marzo 1933, giorno di uscita nelle sale cinematografiche statunitensi, scopre l’esistenza di King Kong.
L’immagine simbolo di questo scimmione l’abbiamo in mente tutti: lui in cima all’Empire State Building, dove fugge portando con sé la sua amata Ann, e dove si trova a dover combattere contro gli aerei dell’aviazione statunitense per poter sopravvivere. Il finale è già scritto: ferito mortalmente, deporrà con grazia e con affetto la donna sul cornicione e precipiterà nel vuoto.
Davvero un film che ha segnato un’epoca quello di Merian Cooper. Non solo per la sceneggiatura, ma soprattutto per il soggetto protagonista, non umano, e ovviamente per gli effetti speciali. Dagli esperti sarà giudicato tra i 50 migliori film mai prodotti negli Stati Uniti.
Enorme anche il successo tra il pubblico, così come la popolarità di questo gorillone. Tant’è che soli otto mesi più tardi uscirà “Il figlio di King Kong”. E, negli anni, si tornerà a fare il remake, ovviamente con effetti speciali sempre più sofisticati. Tra questi impossibile non citare quelli del 1976 curati dall’italiano Carlo Rambaldi che si aggiudicherà l’Oscar. In un film passato alla storia, anche un italiano che, negli effetti speciali, prima dell’avvento dei computer non aveva rivali.